1986
Una storia
Il «difetto di moralità» che genera quella fragilità con cui spesso si vive la compagnia di Cristo ha la sua origine in un’assenza di esistenzialità della coscienza d’appartenenza. Questa mancanza di memoria si documenta attraverso due fattori: l’assenza del sentimento di appartenenza e l’assenza di desiderio di cambiamento. Come si può vincere quest’assenza? Innanzitutto, attraverso la lotta per la stima che si traduce in tre aspetti: la preghiera, cioè la domanda di appartenerGli; la meditazione, ossia il paragone e lo studio di ciò che abbiamo incontrato; infine, l’allenamento al sacrificio. In secondo luogo, occorre l’esercizio del giudizio, ossia non archiviare la realtà ma paragonare tutto alla luce dell’incontro.
Il punto rosso
Il punto rosso nella raffigurazione dell’Icaro di Matisse è il segno di un’ispirazione e, dunque, della dipendenza da qualcosa d’altro da sé. L’appartenenza alla compagnia genera una presenza che svolge il servizio più grande che si possa fare all’uomo, ossia fargli incontrare la realtà di cui la sua vita vive e per cui la sua vita è fatta: Cristo. L’ethos dell’appartenenza provoca quello che il Vangelo chiama metanoia: è un cambiamento nel modo di percepire la realtà e, nel tempo, questo si traduce in una cultura nuova e nei relativi tentativi di attuazione. L’opera, infatti, è eminentemente una traduzione di una posizione culturale. Riconoscere che c’è una realtà più concreta di quella che semplicemente appare significa riaprire il problema umano. Infatti, la riapertura del problema umano è il riconoscimento di questo Tu, realtà che l’uomo non può dominare col suo pensiero e governare con le sue azioni. La questione rimarrebbe ad ogni modo vaga se questo Tu non fosse diventato una presenza nella storia. L’opzione fondamentale, quindi, è riconoscere che la propria vita appartiene a quest’uomo: “Senza di me non potete far nulla”. Diventa decisiva, quindi, la domanda: quale parte ha nella nostra vita questo Tu? Occorre fare attenzione a tre possibili pericoli: la solitudine, che significa non percepire la realtà; il possibile sdoppiamento, ossia un’appartenenza parziale, per la quale la compagnia come logica di gruppo va bene, però la valvola di sicurezza della vita è altrove (donna, esami, lavoro, salute) e considerare un’esagerazione il “sottomettersi” al movimento, nel senso che si accetta la compagnia fino a quando si può godere di alcuni risultati
1987
Chernobyl
È come se i giovani d’oggi fossero stati tutti investiti dalle radiazioni di Chernobyl: l’organismo, strutturalmente, è come prima, ma dinamicamente non è più lo stesso. Vi è come un plagio fisiologico operato dalla mentalità dominante. Si comprende ciò dal fatto che, da un lato, si è astratti nel rapporto con se stessi – quasi affettivamente scarichi – e, dall’altro, ci si rifugia nella compagnia come in una protezione. Il potere realizza in noi un’estraneità da noi stessi. Per questo è fondamentale rispondere alla domanda: “Dove ci si può ritrovare?”. La persona riscopre se stessa in un incontro vivo con una presenza capace di fargli rinvenire la propria originalità: ragione (coscienza del senso) e affettività (inesauribile tensione ad esso). Il potere ha proprio come programma quello di far perdere la semplicità della natura della persona. In questo senso, si capisce come tutto il problema morale consista nel non esser complici del potere, cioè nel non sottrarsi all’attrattiva offerta dall’ideale. Questo avviene solo se ci si coinvolge con i volti della compagnia che è stata tramite dell’incontro, perché è quest’ultimo che contiene la misura del nostro rapporto con la realtà. Perdere questa misura è il peccato, che ha come conseguenza una distanza dalla realtà. Compromettersi con la compagnia significa, in termini pedagogici, seguire questa indicazione: “Cercate ogni giorno il volto dei santi e traete conforto dai loro discorsi”. In altri termini si tratta di una dinamicità nuova nei confronti della realtà, che nasce da un giudizio nuovo (paragone con il criterio di valore, Cristo misura di tutte le cose). Questo significa vivere la vita come amore: «La ragione del mio vivere è affermare Te».
La persona e il potere
Nella vita c’è un momento (kairós) che ha ridestato la nostra persona, che ha agito su di noi come presentimento del vero e a cui si può applicare l’aggettivo “bello”. Questa bellezza, cioè verità presentita, muove e fa entrare in una compagnia. L’incontro, infatti, per sua natura apre a una compagnia. La caratteristica fondamentale dell’entrare in questa compagnia è che incomincia un’avventura nuova e s’inizia a imparare. Il pericolo, infatti, sarebbe entrare in questa compagnia senza la coscienza che si tratti di un’avventura, che significa poi avere la coscienza che c’è qualcosa che sta per venire. Senza questa consapevolezza la compagnia diviene il luogo del possesso e della pretesa. Se il soggetto che entra nella compagnia è la persona ridestata, questo si esprime attraverso due caratteristiche: nel giudizio, cioè l’incontro diviene criterio e nello stesso tempo paradigma e nell’affettività, cioè nell’energia di adesione alla realtà e di permanenza. C’è spesso una frattura tra la commozione per l’incontro fatto e l’implicazione con la compagnia. In cosa consiste questa rottura? Innanzitutto, si tratta di una debolezza affettiva che implica una facilità a dimenticare la domanda che l’incontro ha destato (si tratta di una cosa diversa dall’incoerenza); vi è poi la distrazione, cioè l’assenza di coscienza della sproporzione; da ultimo, c’è il potere che esalta la distrazione e teorizza il cedimento che la debolezza affettiva opera. Per colmare la frattura tra commozione e implicazione, due sono le dimensioni essenziali della vita: da un lato, la povertà dello spirito che si verifica nell’unità con la compagnia come cammino storico; dall’altro, la lotta al tiranno, ossia l’ira contro la menzogna. Il modo migliore per lottare contro la mentalità dominante è porre le domande vere, quelle a cui ha ridestato l’incontro.
Tutta la vita
“Accordandoci i beni che passano, tu ci sospingi al possesso della felicità che permane”: questa è l’idea dell’uomo e della vita propria dell’esistenza cristiana. Tutto è bene ma passa e, tuttavia, non finisce nel nulla. Questo limite inerente a tutte le cose è dato per sospingerci al possesso della felicità che permane. La realtà, perciò, è sì un passaggio, ma tale concetto non è per nulla negativo; al contrario esso svela il carattere avventuroso. Al posto del concetto di passaggio si può usare quello di segno, anche se con una redenzione del suo significato che non esiste nella vita solita. Infatti, «segno» normalmente si riferisce a qualcosa che, una volta raggiunto, si abbandona. Nel cristianesimo, invece, il termine segno indica l’anticipo di qualcosa. Tutto il lavoro della compagnia è su questo punto: imparare a vivere la bellezza delle cose transitorie in modo tale che non imprigionino, ma siano cammino. Perché questo accada, è necessario un cambiamento di mentalità. Ciò che permette questo cambiamento è la compagnia, perché questa compagnia è il Signore che diventa presenza. Non si può restare a lungo nella compagnia senza che la corrispondenza ottenga la sua verifica nell’orizzonte della persona, cioè diventi personale convinzione. Diversamente la compagnia è un’alienazione, così, anziché mobilitare il soggetto, lo esaspera. Ad ogni modo, se si guarda a come la compagnia si è presentata nella vita, occorre notare che la parola centrale è quella di «incontro». Infatti, il più grande fatto della vita non è l’esistere, ma l’incontro, perché quest’ultimo identifica quell’impatto temporale-spaziale in cui il presentimento della positività dell’Essere si è palesato. L’appartenenza a questa compagnia, infatti, investe la totalità della vita proprio perché essa è il luogo in cui posso essere me stesso. Allora, appartiene alla compagnia chi ne segue il cammino storico, senza ridurla ai propri pensieri. In questo senso si capisce che l’appartenenza alla compagnia pone ognuno nella responsabilità diretta verso l’inizio degli inizi, ossia verso il carisma originale. E il carisma originale ha una sua salvaguardia in chi ha la responsabilità di guidare il tutto.