

Ultimo Aggiornamento
05/02/2020
Giussani, Luigi. In cammino: (1992-1998). A cura di Julián Carrón. I libri di Luigi Giussani: L’Equipe. Milano: Biblioteca Universale Rizzoli, 2014.
Volume miscellaneo che raccoglie interventi e conversazioni di Giussani con i responsabili degli studenti universitari di Comunione e Liberazione svoltisi tra il 1992 e il 1998 (Equipe del CLU). Si tratta dell’ottavo volume della serie “L’Equipe” edito nella collana “I libri di Luigi Giussani”.
I testi, raccolti in ordine cronologico, sono preceduti dalla prefazione L’unica risorsa: il senso cristiano dell’io, redatta da Julián Carrón (pp. I-XVII).
Ogni Equipe è anticipata da una nota storica a cura di Onorato Grassi (in corsivo nel testo) che contestualizza l’evento; in occasione della redazione del presente volume tutti gli scritti sono stati rivisti sulla base della documentazione, scritta e audiovisiva, conservata presso l’Archivio della Fraternità di Comunione e Liberazione. Come riporta la Nota editoriale (p. 6), per quanto riguarda la forma dialogica delle assemblee e delle conversazioni si è seguito «il criterio della fedeltà a ciò che è stato detto così come è stato detto», perchè «condizione essenziale per la comprensione del contenuto esposto dall’Autore»; nel passaggio dalla forma orale alla forma scritta, sono state eliminate espressioni incidentali non essenziali e sono stati esplicitati i riferimenti contenuti nel testo.
1992
Il primo scritto, “Colui per cui si vive” (pp. 9-51), è il testo integrale dell’incontro svoltosi a Milano il 22 marzo 1992.
Il capitolo si apre con l’intervento di Giussani alle Lodi (“Introduzione alle Lodi”, pp. 11-15).
Segue il testo dell’“Assemblea” (pp. 16-38). La prima redazione di questo scritto è stata pubblicata in Litterae Communionis-CL con il titolo “Conversazioni su un’esperienza” (6 1992: pp. 4-11. Con successive traduzioni); essa differisce in parte dalla stesura proposta nel presente volume (BUR, 2014).
Il testo conclusivo (pp. 38-51) non è l’usuale “sintesi” di Giussani, ma un approfondimento di alcune tematiche emerse nel corso dell’assemblea (l’Autore segnala «i fattori principali del contesto in cui dobbiamo vivere la nostra compagnia»; cfr. p. 38 e p. 51). Quest’ultimo intervento è stato pubblicato per la prima volta, in una forma diversa da quella proposta nella presente edizione, in Il Sabato con il titolo “Colui per cui si vive” (aprile 18, 1992, pp. 88-91. Con successive traduzioni) e rieditato identico l’anno seguente nella miscellanea Un avvenimento di vita, cioè una storia: Itinerario di quindici anni concepiti e vissuti: Interviste, conversazioni, interventi di monsignor Luigi Giussani a partire da registrazioni, non rivisti dall’autore (EDIT: Il Sabato, 1993, pp. 319-329). Nel 1996, Il nuovo Areopago ha pubblicato l’articolo “Una presenza visibile” (2 1996: pp. 99-102), che propone alcuni passaggi tratti dal volume EDIT: Il Sabato, 1993 (pp. 322-326).
“Il dialogo fra di noi” (“Assemblea”, pp. 53-96) è la conversazione fra Giussani e i partecipanti all’Equipe svoltasi a Milano il 27 giugno 1992, qui pubblicata per la prima volta.
“In cammino” (pp. 97-170), testo che dà il titolo al presente volume, riporta quanto detto durante l’Equipe estiva del CLU svoltasi a La Thuile dal 19 al 25 agosto 1992, a cui parteciparono settecento universitari di Comunione e Liberazione provenienti da trentotto nazioni. Fu l’ultimo raduno estivo di questo genere, poichè dall’anno successivo si tenne al suo posto l’incontro internazionale dei responsabili di tutto il movimento di CL (AIR), i cui contenuti furono ripresi nelle Equipe durante l’anno (cfr. la nota storica, pp. 97-98).
L’intervento di Giussani ha avuto una prima diffusione nel 1992 nel libretto In cammino: Appunti da una conversazione di monsignor Luigi Giussani con universitari, agosto 1992 (a cura di Carmine di Martino, supplemento a Il Sabato, ottobre 10, 1992. Con successive traduzioni).
L’anno successivo, lo scritto è stato ripubblicato nel volume Un avvenimento di vita, cioè una storia, di cui costituisce l’“Appendice” (EDIT: Il Sabato, 1993, pp. 473-502). L’Autore ha operato un’attenta revisione al testo, che ha portato all’espunzione dei punti introduttivi (In cammino, 1992, pp. 3-4) e alla variazione nella suddivisione di alcuni paragrafi: il primo paragrafo, “Il soggetto costituito” (In cammino, 1992, pp. 5-8), è diventato “La coscienza dell’io impedita” (EDIT: Il Sabato, 1993, pp. 475-477; In cammino, BUR, 2014, pp. 99-102) e comprende il primo dei punti introduttivi intitolato “Il sentimento della propria persona” (In cammino, 1992, p. 3); “Nota. Quasi una parentesi” (In cammino, 1992, p. 26) è diventato il paragrafo 7 dal titolo “L’inizio di un soggetto nuovo” (EDIT: Il Sabato, 1993, pp. 489-493; In cammino, BUR, 2014, pp. 117-122).
Nel 1994, il testo è stato ripubblicato identico all’edizione del 1993 nel volumetto È, se opera: Appunti da conversazioni con dei giovani. Agosto 1992 - settembre 1993 (supplemento a 30 Giorni, 2 1994: pp. 7-40) e, nel 2000, è stato riproposto in Litterae Communionis-Tracce (“In cammino”, 2 2000: inserto. Con successive traduzioni).
Nel 1996, alcune pagine tratte da Un avvenimento di vita, cioè una storia (pp. 484-487, p. 497) sono diventate parte dell’articolo “Una presenza visibile” in Il nuovo Areopago (2 1996: pp. 102-104).
Come affermato da Onorato Grassi (cfr. nota a p. 97), il testo proposto nel volume BUR, 2014 (pp. 99-135) è quello rivisto dall’Autore nella forma pubblicata in Un avvenimento di vita, cioè una storia (EDIT: 30 Giorni, 1993).
Seguono due scritti inediti: “Serata di presentazione del film Ordet di Carl Theodor Dreyer” (pp. 136-140) e “Assemblea” (pp. 141-170).
1993-1994
Come si legge nella nota storica (p. 173), i testi che seguono riguardano solo gli incontri nei quali è intervenuto Giussani. Si tratta di raduni che si sono tenuti a Milano nel corso dell’anno accademico, molto partecipati e abbastanza brevi, svolti in modo assembleare con una sintesi finale dell’Autore.
“L’iniziativa di un Altro” (pp. 178-210) è il testo dell’“Assemblea” del 13 marzo 1993, qui pubblicato per la prima volta.
“Riconoscere una Presenza” (pp. 211-238) riporta il testo dell’“Assemblea” (pp. 211-228) e la “Sintesi” dell’Autore (pp. 229-238) relativi all’incontro del 12 giugno 1993.
Nell’estate 1993, un sunto dei contenuti dell’Equipe è stato proposto in 30 Giorni con il titolo “Riconoscere una presenza” (7/8 1993: pp. 35-46. Con successive traduzioni). In questa forma il testo è pubblicato anche in Litterae Communionis-Tracce (8 1993: inserto. Con successive traduzioni).
“Lo scopo della scuola di comunità” (pp. 239-241) è il testo del saluto introduttivo di Giussani all’Equipe del 4 marzo 1994, a cui l’Autore non partecipò per sopravvenuti impegni (cfr. la nota storica a p. 239). In quello stesso anno il testo è stato pubblicato in Litterae Communionis-Tracce con il titolo “Scuola e metodo” (10 1994: p. 9. Con successive traduzioni). Si segnalano lievi differenze di carattere redazionale alla presente edizione (BUR, 2014).
“Amanti della verità” (pp. 243-266) è la “Sintesi” dell’Autore all’incontro del 26 ottobre 1994.
In quello stesso anno, lo scritto è stato pubblicato con il titolo “Equipe universitari” nel libretto Realtà e giovinezza: la sfida: Appunti da conversazioni di Luigi Giussani con un gruppo di universitari e con studenti medi (Cooperativa Editoriale Nuovo Mondo, 1994, pp. 3-30). L’anno successivo è stato riproposto in forma identica nella miscellanea Realtà e giovinezza. La sfida (SEI, 1995, pp. 94-108).
Nel 2018, in occasione della pubblicazione della nuova edizione di Realtà e giovinezza. La sfida per i tipi di Rizzoli (2018, pp. 119-137), lo scritto sarà rieditato nella forma redazionale definitiva contenuta in In cammino (BUR, 2014).
Dal 1995 in poi
“L’imprevisto della realtà” (pp. 271-308) raccoglie gli interventi durante l’“Assemblea” (pp. 271-298) e la “Sintesi” (pp. 299-308) dell’Autore relativi all’Equipe svoltasi a Milano l’8 novembre 1995. I due testi sono qui pubblicati per la prima volta.
“Vivere la ragione” (pp. 309-335) è il testo dell’assemblea che ha avuto luogo il 21 giugno 1996, a Milano.
Parte del testo della conversazione con gli universitari era già stata pubblicata in Litterae Communionis-Tracce (“Vivere la ragione”, 8 1996: inserto. Con successive traduzioni); rispetto alla versione edita in BUR, 2014, nell’edizione 1996 mancano due interventi (BUR, 2014, pp. 311-312, p. 315).
Nel 2006, i primi tre interventi degli studenti e le relative risposte dell’Autore (8 1996: pp. I-VI) sono stati riproposti con il titolo “Vivere la ragione” in Litterae Communionis-Tracce (1 2006: pp. 1-5. Con successive traduzioni).
“Accettiamo la vita perché tendiamo alla felicità” (pp. 337-346) è la trascrizione dell’assemblea svoltasi il 4 aprile 1998, a Milano.
Nel maggio 1998, Litterae Communionis-Tracce ha pubblicato per la prima volta il testo dell’incontro (5 1998: inserto. Con successiva traduzione); non sono riportate alcune righe introduttive, presenti invece nel volume BUR, 2014.
Quella del 4 aprile 1998 è l’ultima Equipe degli universitari di CL alla quale Giussani partecipa di persona. Dopo di allora interverrà qualche volta ancora attraverso collegamenti video (cfr. Savorana, Alberto. Vita di don Giussani, p. 1016. Milano: Rizzoli, 2013), di cui però non esistono testi pubblicati (dato reperito presso l’Archivio di Comunione e Liberazione). Fa eccezione il testo “Unità e fraternità: la sintesi di ogni giorno” (pp. 347-348). Lo scritto è un breve saluto dell’Autore intervenuto in videoconferenza da Milano il 7 settembre 2003, durante l’Equipe svoltasi a La Thuile dal 4 al 7 settembre 2003.
La prima pubblicazione dell’intervento, identica per titolo e forma redazionale a quella riportata in BUR, 2014, si trova in Litterae Communionis-Tracce (9 2003: pp. 1-2. Con successive traduzioni).
Nel 2004, il testo è divenuto l’introduzione a Una presenza che cambia (BUR, 2004, pp. 3-4), settimo volume della serie “Quasi Tischreden”.
Chiudono il volume la sezione “Appendice” (pp. 351-372), in cui sono proposti i testi dei Volantoni di Pasqua dal 1982 al 1998, la “Legenda” (pp. 373-376) e gli “Indici” (pp. 377-393). [C. C.]
1992
Colui per cui si vive
Qual è il contesto in cui il cristiano deve vivere ed approfondire la propria fede? L’epoca attuale ha bandito Dio dal quotidiano e lo ha sostituito con la ragione “misura di tutte le cose”. Per l’uomo cristiano, invece, l’assoluto, entrando nella storia, ha risposto all’esigenza di infinito della ragione compiendone la traiettoria di conoscenza; senza il riconoscimento e l’accoglimento di questo fatto sperimentato, la ragione s’indebolisce e l’io umano diviene fragile e solo, perciò in balia del potere. In questo deserto permane però intatta l’attesa della liberazione: l’uomo intuisce – nella misura in cui non è stata distrutta la sua dignità originale – che dentro l’apparenza delle cose può emergere la salvezza. L’attesa di Cristo resta inevitabile. La salvezza capita come una grazia che deve essere riconosciuta e accolta da un soggetto che decida per essa. Sono due tuttavia i pericoli in una personalità che decide: il primo è la dubbiezza, il secondo è la meschinità, il “comodismo”. Entrambe queste posizioni invece di accogliere il reale suggeriscono, in vario modo, di eliminarlo. Nell’uomo il coraggio di dire io e di decidere avviene solo nel fenomeno dell’incontro: quando si è colpiti dall’incontro con Cristo la vita cambia e non perché la si vuole cambiare, ma perché si inizia a vivere per Lui.
Il dialogo fra noi
La nostra amicizia vive nel dialogo continuo di chi vi approfondisce le ragioni che il movimento offre all’io di ciascuno di noi. Il dialogo nasce, infatti, dalla collaborazione alla costruzione comune e dal desiderio di investire sé e il mondo di ciò che si è incontrato. Per questo è necessaria ogni cosa che ci accade, ogni domanda che nasce dal paragone con le ragioni offerte da questa nostra compagnia.
In cammino
Il supremo ostacolo al nostro cammino di uomini è la “trascuratezza” dell’io; per questo il nostro primo interesse è che il soggetto umano abbia coscienza di cos’è perché solo dicendo seriamente “io”, posso dire “mio” ad ogni rapporto. Dobbiamo renderci conto dell’influsso determinante che ha su di noi quello che il Vangelo chiama «mondo»: oggi è favorita una grande confusione quanto al contenuto della parola io e l’inevitabile conseguenza di questa confusione è l’incapacità di dire tu. Solo un avvenimento può allora rendere chiaro e consistente il soggetto nei suoi fattori costitutivi. Un avvenimento irrompe sempre dall’esterno, non è prevedibile e rappresenta il metodo supremo di conoscenza della realtà e massimamente lo è per la conoscenza del proprio io: esso mette in moto il processo per cui l’io inizia a prendere coscienza e ad avere tenerezza di sé e interesse per il proprio destino. Il cristianesimo è un avvenimento ed è il solo catalizzatore adeguato della conoscenza dell’io. L’avvenimento cristiano ha la forma di un incontro umano nella banalità di tutti i giorni e veicola l’evidenza di una corrispondenza del divino a quello che siamo: mi fa accorgere cioè di quello che sono, di quello che desidero e mi fa capire che quello che desidero è proprio quello che porta. Noi siamo qui per questo incontro. Seneca diceva: «Devi vivere per un altro, se vuoi vivere per te stesso». Ma questo “altro” o lo scegli tu – e allora scegli te stesso e il tuo criterio – o ti si impone e allora ne sei schiavo; in un solo caso la frase di Seneca è degna dell’umana libertà: se l’altro ti raccorda al tuo destino. Dunque, lo segui, altrimenti ti sfai. Il battesimo ha segnato la nostra strada vocazionale, ma solo in un certo incontro il suo contenuto ci è apparso nella sua pretesa di corrispondenza totale al nostro cuore. L’irruzione del mistero di Dio fatto uomo nella nostra storia personale dà inizio ad un soggetto nuovo: produce una nuova concezione e una nuova manipolazione della realtà, così che il reale e l’uomo diventano sempre più una cosa sola. Ogni giorno siamo chiamati a sperimentare l’urto sottile e discreto della risurrezione: uno spunto di luce, una volontà di conoscere, una passione per il destino degli uomini e delle cose, in cui lentamente tutto viene abbracciato e coinvolto. Qual è la causa per cui quell’avvenimento diventa un incontro con una presenza eccezionale, che poi riconosceremo come divina e a cui poi diremo: «Tu»? Si chiama Spirito Santo. Da quando quell’Uomo cui lo Spirito stesso ha dato vita è morto ed è risorto, lo Spirito Santo è diventato il Suo Spirito. L’urto dello Spirito incomincia con l’incontro e prosegue in passi precisi. Il primo è la valorizzazione dell’incontro iniziale: ci fa capire che quell’urto è come un seme che ha bisogno di svilupparsi, facendoci presentire tutto il suo contenuto di promessa per la nostra vita e suscita in noi un principio di responsabilità in rapporto al quale la nostra vita sarà giudicata. Il secondo passo è l’approfondirsi dell’esperienza dell’incontro in cui diventa sempre più affascinante la conoscenza di Cristo. Il terzo consiste in due implicazioni importanti: innanzitutto, l’incontro è un avvenimento totalizzante, cioè è la forma vera di tutti i rapporti; in secondo luogo, esso è cattolico, cioè ci spinge ad accostare tutto e tutti con una apertura senza fine così generando una cultura nuova. Ciascuno di noi è stato scelto perché si renda egli stesso incontro possibile per altri
1993-1994
L’iniziativa di un Altro
Accettare che un Altro si introduca nella nostra vita per salvarla, per portarla alla conoscenza del vero, alla adesione della realtà è la cosa più difficile per l’uomo, sin da Adamo e Eva. Cosa rende ragionevole questa ultima obbedienza? Prima di tutto la constatazione che siamo fallaci, che non riusciamo a creare niente di ultimamente compiuto; in secondo luogo, la verifica che se si accetta questa possibilità come ipotesi di lavoro, allora si inizia a respirare e tutto diventa semplice e libero. Il problema della nostra vita sta tutto nel riconoscere che il nostro cammino è determinato, aiutato e protetto da un Altro – «Colui che ha iniziato in voi questo cammino lo condurrà a termine», scrive San Paolo ai Filippesi – perché questo riconoscimento ci libera da ogni limite, da ogni termine dei nostri tentativi. Mentre tutto si disgrega in mille pezzi e si corrompe, questo Altro genera unità: di se stessi, con gli amici, con gli estranei, con tutta la realtà e con il Destino, cosicché l’istante non è più una tomba, ma l’inizio di una nuova apertura all’infinito.
Riconoscere una presenza
È utile riprendere coscienza di ciò che siamo attraverso la nostra storia. Durante gli anni della contestazione, ci siamo trovati come fuori posto a causa dell’ideologia marxista, che attribuiva alle sue teorie sul futuro ogni speranza che l’umanità potesse avere. GS è stata spazzata via da questo, ma un gruppetto di tre o quattro universitari insorse nel 1969 con un foglietto “controrivoluzionario”, intitolato «Comunione e liberazione». Anche noi volevamo e vogliamo la liberazione dell’uomo, ma questa liberazione può derivare solo da qualcosa che è già libero: Cristo Redentore, così come ci era stato proposto in GS. Allora iniziammo ad unirci per formulare prospettive e suggerire idee e nel tempo abbiamo proposto in università una infinità di iniziative tese ad evidenziare una visione della società più umana. Nel 1973 abbiamo proposto un grande incontro al Palalido, intitolato «Nelle università italiane per la liberazione» e abbiamo avuto un grande successo; ma dopo quella partenza, fummo presi da un fremito ancora più grande per cercare di dimostrare agli altri che con le nostre risposte cristiane ai problemi di tutti facevamo meglio degli altri. Credevamo in questo modo che avremmo avuto una patria nel mondo. Ma il nostro ideale non è affatto quello di avere una patria in questa terra. È giusto aiutare gli altri e rispondere ai loro bisogni, ma noi non siamo qui per questo. È un’illusione credere di poter salvare l’uomo mettendoci insieme noi: è un’utopia. Allora perché siamo qui? Siamo qui per gridare al mondo che il Mistero che fa tutte le cose e che va infinitamente oltre ogni orizzonte raggiungibile con le nostre sole forze, è diventato un uomo tra noi: solo Lui è capace di portare a compimento i desideri di tutti gli uomini che lo seguono. Noi siamo qui per questa presenza: il centro della nostra vita non è avere un posto in questo mondo, non è riuscire, ma riconoscerla! Dio è venuto tra noi perché riconoscessimo che Gli apparteniamo.
Lo scopo della Scuola di comunità
Scopo della Scuola di comunità è dare una risposta adeguata ad ogni problema della nostra vita perché risolvere un problema della vita dà curiosità e gusto. Questa è stata la scoperta fin dai primi anni del movimento: la fede ha la capacità di trovare ragioni adeguate ad un problema umano più di quanto ne abbia il nostro solo pensiero. Per questo amiamo la nostra fede, perché si è mostrata ai nostri occhi come una grandezza più affascinante dell’intelligenza umana e più accogliente di un qualsiasi cuore umano.
Amanti della verità
La partenza originale dell’uomo è la realtà che emerge nell’esperienza prima di tutto come positività e attrattiva. Essere ragionevoli significa riconoscere questo dato di attrattiva, ma la libertà può decidere di separare l’evidenza dalla positività originale. Per questo oscilliamo tra un idealismo teorico e un empirismo istintivo. Per secoli l’uomo ha tentato di essere la misura del reale e in tal modo lo ha ridotto a nulla, perché l’uomo non può creare, ma solo ricevere. Questa menzogna è diventata mentalità comune perché è diventato il contenuto dell’educazione comune. La nostra compagnia e in essa Gesù ci fanno invece lavorare in ripresa continua sul terreno solido della realtà, così come emerge dall’esperienza, salvando in tal modo la ragione, l’affezione e la libertà.
Dal 1995 in poi
L’imprevisto della realtà
Se l’uomo non rintraccia la totalità dei fattori che lo costituiscono, rattrappisce e nessun particolare della realtà desta più in lui alcun affectus. La realtà diventa come un fantasma e genera solo paura e calcolo per difendersi da essa. Moravia definisce la realtà come insufficiente perché non può persuaderci della sua esistenza, ma questa è una menzogna perché la realtà c’è; essa è certo insufficiente, ma perché non possiamo afferrarne tutti i fattori che la costituiscono: manca sempre di qualcosa, di «un imprevisto», direbbe Montale. L’attesa di questo imprevisto è la nota dominante di tutta la storia della coscienza umana, dal popolo ebraico fino ad oggi. La possibilità di camminare verso la completezza della nostra vita, verso la sua affettività piena e la sua operatività creativa sta solo nel ricordare questo imprevisto che manca e nel domandare che si manifesti. L’uomo che vive attendendo questo imprevisto, vivendo cioè questa memoria, è libero e può giudicare ogni cosa. L’offerta implica quindi, da una parte, il riconoscere che tutto è fatto di un Altro e, dall’altra, desiderare che questo Altro si manifesti. Per noi lo strumento di questa memoria è la Scuola di comunità.
Vivere la ragione
Poiché la realtà si rende evidente nell’esperienza, vivere la ragione significa non censurare le domande che l’impatto con essa suscita in noi. Il metodo del movimento per chiarire il problema dell’uomo come religiosità parte infatti dal rendere esperienza personale il rapporto tra l’uomo e la realtà in quanto originata. Porsi la domanda: «In fondo in fondo di cosa è fatto il mondo, il cielo, la terra o la stessa mia azione?» equivale a porre in chiaro che la realtà non si fa da sé, ma che in essa si impone qualcosa che noi non definiamo e che pure desideriamo si manifesti. Vivere la ragione quindi non genera, ma dispone, apre e spalanca a quella possibilità che l’ignoto supremo, l’imprevisto che c’è nella realtà si manifesti. Per questo, vivere la ragione salva la fede dalla pura sentimentalità.
Accettiamo la vita perché tendiamo alla felicità
Come porre un’alternativa al predominio del potere che vuole determinare tutti gli aspetti della vita? L’unica risorsa è una ripresa potente del senso cristiano dell’io, perché solo la concezione che Cristo ha della persona umana spiega tutti i fattori che sentiamo emergere e urgere dentro di noi e per cui nessun potere potrà mai impedire all’io di essere io. Questa centralità del valore dell’io è stata, fin dall’origine del movimento, non solo la ragione di uno sviluppo della religiosità come categoria fondamentale della persona in ogni tempo, ma anche l’origine del rapporto con l’esperienza umana com’è negli uomini più geniali di ogni epoca, innanzitutto con Leopardi.
Unità e fraternità: la sintesi di ogni giorno
La verità e la bellezza di quello che ci diciamo e l’amorosità della vita che ne consegue esigono due condizioni: prima di tutto, che si rispetti l’unità tra noi in cui si afferma l’autorità; e, in secondo luogo, che questa unità renda sempre più possibile l’amore vicendevole