

Ultimo Aggiornamento
23/06/2020
Edizione aggiornata del volume Il senso religioso pubblicato da Rizzoli nel 1997 (il testo di Giussani non ha subito modifiche, sono state aggiornate le note).
Il libro si apre con la Prefazione di James Francis Stafford (redatta per l’edizione 1997, modificato l’incipit; pp. V-IX), seguita dall’“Introduzione” dell’Autore (p. XI).
L’Autore si era già occupato di questo tema nel dicembre 1957 con un volumetto (Il senso religioso, GIAC) rivolto ai soci adulti della Gioventù di Azione Cattolica milanese, il cui argomento era in parte dettato dalla lettera pastorale dell’arcivescovo Montini per la Quaresima 1957 intitolata Sul senso religioso (lo scritto di Giussani e la lettera di Montini sono ripubblicati integralmente in Montini, Giovanni Battista, e Giussani, Luigi. Sul senso religioso. BUR, 2009, pp. 45-127).
Nel 1966, Jaca Book edita per la prima volta il volume Il senso religioso che raccoglie organicamente appunti, rivisti dall’Autore, di lezioni tenute al liceo milanese Berchet fra il 1954 e il 1960 circa (collana “Note e sintesi”); lo scritto ottiene l’imprimatur ecclesiastico (Venegoni 16 III 1966 / Nihl obstat quominus imprimatur /sac. Carolus Figini cens. Eccl.).
Nel testo sono riportate e approfondite le tematiche trattate dall’Autore nel 1957. L’edizione 1966 è ora pubblicata in Il senso di Dio e l’uomo moderno: La “questione umana” e la novità del Cristianesimo (BUR Rizzoli, 2010, pp. 7-75. Prima edizione: BUR, 1994).
Nel 1975, Jaca Book ristampa il volume del 1966 nella collana “Richieste 1” senza apportare variazioni al testo (ristampa conforme all’originale, modificati formato e copertina).
Nel 1977, il testo è rieditato senza variazioni nella collana della Jaca Book “Già e non ancora”. La “Nota di edizione” (pp. 7-10) anticipa però un nuovo progetto editoriale: gli argomenti trattati verranno infatti sviluppati nei volumi del perCorso (Il senso religioso: Volume primo del perCorso, 1986; All’origine della pretesa cristiana: Volume secondo del perCorso, 1988; Perché la Chiesa: Tomo 1: La pretesa permane: Volume terzo del perCorso, 1990; Perché la Chiesa: Tomo 2: Il segno efficace del divino nella storia: Volume terzo del perCorso, 1992).
Nel 1986, esce Il senso religioso: Volume primo del perCorso.
Nel febbraio 1988 il volume ottiene l’imprimatur ecclesiastico (in Curia Arch. Mediolani, die 15 febbraio 1988, Giovanni Saldarini pro Vic. Gen.); con l’occasione esce la seconda edizione dello scritto (Jaca Book), senza variazioni.
Nel 1994, esce Opere: 1966-1992, una miscellanea in due volumi che raccoglie tutti gli scritti di Giussani pubblicati da Jaca Book. Il primo volume ripropone Il PerCorso (pp. 1-618) e, in appendice, Il senso religioso nell’edizione 1977 (è infatti inclusa la “Nota di edizione” che non era presente nell’edizione 1966; pp. 619-682).
Nel 1995, Il senso religioso, esaurito nell’edizione Jaca Book del 1986, è ripubblicato da Cooperativa Editoriale Nuovo Mondo.
Nel 1997 Rizzoli inizia la ripubblicazione del PerCorso in veste definitiva, che si concluderà nel 2003.
Nel primo volume, Il senso religioso, rispetto all’edizione precedente sono state aggiunte le note a piè di pagina e corretti i refusi.
Dal 2003 il primo volume del PerCorso è disponibile anche in edizione economica (BUR; nel 2010 pubblicato anche in formato pdf e ePub).
Nel 2007, per iniziativa editoriale di Rizzoli, l’opera è pubblicata nel volume L’itinerario della fede che ripropone integralmente il PerCorso (“Il senso religioso [1997]”, in Rizzoli, 2007, pp. 7-190).
Nel 2010, esce l’audiobook del volume Il senso religioso (Rizzoli, 2010), corredato di un fascicolo che, come è detto nella Nota introduttiva (pp. 5-6), ripropone due capitoli fondamentali dell’opera: “Capitolo quinto. Il senso religioso: sua natura” e “Capitolo decimo. Come si destano le domande ultime. Itinerario del senso religioso”.
Per iniziativa editoriale di RCS: Corriere della Sera, il 20 febbraio 2016 Il senso religioso esce in abbinamento al quotidiano nella collana “I manuali del Corriere della Sera”. Si tratta del primo di dieci volumi dell’Autore che saranno in edicola settimanalmente. Il volume è corredato di una Presentazione inedita redatta da Antonio Polito. Il testo di Giussani è una ristampa conforme all’originale dell’edizione Rizzoli, 2010.
Il senso religioso (Rizzoli, 1997) è inoltre stato oggetto di riflessione in conversazioni fra l’Autore e alcuni membri dell’associazione Memores Domini (Quasi Tischreden) raccolte principalmente in L’autocoscienza del cosmo (BUR, 2000, T188-191, T196-197, T200), ma anche in altri volumi della medesima collana: «Tu» (o dell’amicizia) (BUR, 1997, T202), L’attrattiva Gesù (BUR, 1999, T195) e Dal temperamento un metodo (BUR, 2002, T198). [P. M.]
Il «senso religioso» è l’insieme delle domande che costituiscono la stoffa della ragione e l’impeto dell’affettività: «Per che cosa in fondo vale la pena vivere? Qual è il senso ultimo della realtà che mi circonda – la natura, le cose, le persone, gli incontri, gli avvenimenti?».
Il libro si apre con un triplice richiamo metodologico: per conoscere se stessi e la realtà occorre realismo, ovvero la consapevolezza che il metodo di ogni ricerca non nasce da uno schema precostituito, ma è imposto dall’oggetto. È necessaria in secondo luogo una fedeltà alla propria natura, alla propria ragionevolezza, cioè alla capacità di afferrare e affermare la realtà nella totalità dei fattori. Occorre infine una moralità, una disponibilità ad amare la verità più di quanto non si amino le proprie immagini e i propri pensieri.
Come procedere, dunque, se l’oggetto della conoscenza è il senso religioso? Prestando attenzione a se stessi, al proprio «io-in-azione» e paragonandosi continuamente con l’«esperienza elementare», quel complesso di esigenze e di evidenze che costituiscono la struttura originale dell’uomo, per quanto diversamente concepita e tradotta nella storia e nelle culture. Ci si renderà allora conto che, accanto alla realtà «carnale» ce n’è una «spirituale», costituita da domande inestirpabili: «Qual è il senso ultimo della vita? Perché c’è il dolore e la morte, perché in fondo vale la pena vivere? Di che cosa e per che cosa è fatta la realtà?». Quanto più l’uomo si addentra nel tentativo di affrontare tali interrogativi, tanto più si scopre incapace di una risposta esauriente. D’altra parte, non ammettere l’esistenza di una risposta significherebbe sopprimere la domanda stessa: solo l’affermazione del Mistero come realtà esistente – l’ipotesi di Dio – corrisponde alla struttura dell’uomo, salvaguarda la natura della ragione.
Di fronte agli interrogativi ultimi sul significato di sé e del mondo l’uomo è continuamente tentato di assumere atteggiamenti irragionevoli, svuotando le domande, che vengono di volta in volta considerate prive di senso, ridotte a uno sforzo di volontà o dimenticate, oppure sminuendone il contenuto a un’evasione estetica e sentimentale, alla disperata negazione della possibilità di risposta o alla speranza nell’evoluzione futura dell’ordine sociale. La conseguenza è mortale: si svilisce il senso del passato, si inaridisce la fecondità del futuro e si riduce il dialogo e la comunicazione; soprattutto si perde la libertà, ovvero la capacità di compiersi, di raggiungere il proprio destino. L’uomo, infatti, può essere realmente libero solo se ammette l’esistenza in sé di qualcosa che non deriva dai propri antecedenti biologici e storici, ma che è diretto rapporto con l’infinito. Ecco il paradosso: la libertà è dipendenza da Dio.
Il senso religioso riemerge continuamente nell’impatto con il reale. L’uomo attento alla propria esperienza percepisce innanzitutto lo stupore di fronte ad una realtà che si impone e che non ha fatto lui; in essa egli coglie un ordine (cosmos) e un disegno che può essergli favorevole, provvidenziale. Solo in un secondo momento, accorgendosi del proprio «io», egli si rende conto di non darsi la vita da sé, di dipendere da un altro, da un «tu» senza volto che la tradizione religiosa chiama «Dio». Per questo la preghiera – la coscienza di un Altro come consistenza di sé – è l’unico gesto pienamente umano.
Di fronte alla natura e alle esigenze dell’«io» che rimandano ad altro, ad un «oltre», l’uomo deve affermare che la risposta c’è anche se non la vede o non la comprende. Si tratta della scoperta più grande cui può arrivare la ragione: l’esistenza di qualcosa di in-finito, in-commensurabile, cui tutto il movimento dell’uomo è destinato. Così il Mistero non è più intuito come mero limite della ragione, ma come segno della sua apertura senza fine.
La libertà dell’uomo è perciò continuamente coinvolta nell’avventura dell’interpretazione di una realtà che si manifesta come segno. Si tratta innanzitutto di stabilire quale posizione assumere di fronte ad ogni cosa: uno sguardo leale e spalancato, carico di attesa, o il tentativo di difendersi e di ammettere solo ciò che si ritiene consono a sé. Per mantenere questo atteggiamento positivo, per rispondere all’essere che le si propone, la libertà ha continuamente bisogno di un’educazione; se parte dall’ipotesi negativa, infatti, anche se qualcosa c’è, non lo troverà mai.
Chiunque prenda sul serio la propria umanità si troverà così in una posizione vertiginosa, nello struggimento di voler penetrare il Mistero di cui non vede il volto: in questa soglia drammatica l’uomo sarà sempre tentato di eliminare la vertigine, identificando il significato totale con qualcosa di comprensibile. Questa è la radice esistenziale del «peccato originale»: l’uomo misura di tutte le cose.
Ma, al culmine della coscienza sofferta e appassionata dell’esistenza, si sprigiona il grido dell’umanità più vera, un grido di implorazione e mendicanza, la domanda che il significato si sveli e si faccia conoscere: è la grande ipotesi della rivelazione. In senso lato, la rivelazione è lo svelarsi di Dio attraverso il segno del mondo; in senso proprio si tratta di un possibile fatto reale, di un eventuale avvenimento storico, col quale, nel caso del cristianesimo, il Mistero si identifica. L’ipotesi della rivelazione, affatto confacente alla suprema categoria della ragione (quella della possibilità), non può essere distrutta da alcun preconcetto o da alcuna opzione, perché essa pone una questione di fatto, cui la natura del cuore è originalmente aperta. «Negare la possibilità di questa ipotesi – annota l’Autore – è l’ultima estrema forma di idolatria». Per la riuscita della vita occorre, quindi, che quest’apertura – il senso religioso – rimanga determinante. Questo è il confine dell’umana dignità.