La ragione della carità
Normalmente le ragioni della condivisione vengono vissute in modo implicito nella propria buona volontà, ma quanto più si prende coscienza dei motivi da cui nasce questo gesto tanto più l’impegno della carità è lucido e gioioso. La gratuità ha la sua radice nel fatto che tutto ciò che si fa e si è è dato; realizzandola si partecipa alla vita stessa del Mistero. Da qui scaturiscono tre conseguenze: la coscienza di essere amati, il perdono della diversità e l’amore alla persona. I fattori metodologici di questo itinerario si possono riassumere nell’esercizio della libertà in cui si radica l’umiltà e nella condiscendenza, che è amore all’altro senza pretesa e amore al dolore. Infatti, la gratuità nella pratica nasce dentro questo dolore, in quella non-corrispondenza che è alla radice di qualsiasi rapporto, perché soltanto nell’Eterno si può trovare la vera corrispondenza.
Vivere nella gratuità
Di fronte al Mistero che si è comunicato persuasivamente attraverso la modalità concreta di una storia, in un atto di assoluta gratuità – «Ti ho amato di un amore eterno, avendo avuto pietà del tuo niente» –, non si può non desiderare di imitarlo nella sua carità. La gratuità consiste nell’affrontare i rapporti con se stessi, con gli altri e le cose nella prospettiva del destino, cioè di Cristo: sorgente di questo criterio è la gratitudine per la carità con cui Cristo ha toccato la propria vita. La forma più imponente di gratuità è la vita della compagnia cristiana, perché essa sta insieme solo per un motivo: Cristo.
Un’esperienza nuova dell’umano
Si comprende e si conosce che Gesù Cristo è un fattore del reale quando ci si accorge che si cambia la modalità di rapporto con le cose per la coscienza che si ha di Cristo: Egli, infatti, è un’esperienza nuova dell’umano. «Con l’accoglienza è come se uno non dovesse neanche spiegare che cos’è Gesù Cristo, lo si vede nel gesto». Questa esperienza di accoglienza si pone come il fatto più sintomatico dal punto di vista della maturità della vita: è un problema innanzitutto personale, non operativo.
«Non da carne, né da sangue, ma da Dio siamo nati»
L’opera umana e cristiana più grande è che, riconoscendo il Fatto che ci unisce, la propria peculiarità o individualità familiare sappia aprirsi e dilatarsi all’accoglienza di ciò che, umanamente parlando, sarebbe estraneo. L’opera delle «Famiglie per l’accoglienza» testimonia le caratteristiche della famiglia cristiana, cioè della famiglia nella sua verità. La prima caratteristica è la capacità di ospitalità, l’implicare totalmente sé nel rapporto con un figlio che non ha niente a che fare con il proprio sangue e la propria carne. La seconda è la capacità di perdono, in cui l’accettazione della fatica può accadere solo in quanto la prima comunionalità è vissuta tra le «Famiglie per l’accoglienza». La libertà dall’esito e la letizia nel sacrificio nascono dall’esperienza della fede, dal riconoscimento di essere amati, accolti: «Amiamo perché siamo amati».
L’abbraccio del diverso
«Famiglie per l’accoglienza» non è innanzitutto un’organizzazione, ma un’esperienza. L’esperienza è il nesso con il Mistero fatto uomo e quanto più uno vi penetra accogliendola tanto più essa si allarga: la compagnia che ne nasce è un’amicizia che traduce in termini passeggeri, ma di valore non passeggero, il rapporto con Cristo. Praticare l’ospitalità significa accogliere il modo della presenza di Dio nella vita; essa è, dunque, accoglienza del diverso. Non c’è altra diversità più grande, infatti, di quella tra l’essere e il nulla, tra il Dio diventato uomo e l’uomo peccatore. La gratuità pura in un abbraccio, perciò, non sarebbe possibile, se non prendesse le mosse dall’amore per Cristo, dall’imitazione di Lui. Perciò quest’opera è come una bandiera, un segno che richiama a tutti ciò per cui si deve combattere: per l’umano e per l’eterno.
L’imitazione di Cristo
Nel fenomeno dell’accoglienza si riverbera il mistero della Trinità, poiché quest’ultimo rappresenta un’accoglienza infinita. Il valore dell’ospitalità sta nella disponibilità totale del cuore che si offre per imitare l’amore di Dio ed esso non è snaturato dal limite temporale dell’affido. Dio è, infatti, la ragione totalizzante: la carità è la risposta a quella gratuità che ci ha creati ed è venuta a “stare con” ogni uomo. È totalizzante l’amore, perciò, quando accoglie l’altro secondo la totalità del suo essere, lo accetta e lo sostiene in tutto quello che vive, imitando l’amore che Dio ha per lui. Ma da solo l’uomo non è capace; occorre chiedere alla Madonna la grazia di saper accogliere ciò che ci è stato dato ed aiutarsi reciprocamente a vivere le ragioni profonde dell’associazione.
La familiarità come metodo del Mistero
Il metodo che gli apostoli hanno usato per arrivare ai confini del mondo è stato la testimonianza di una umanità nuova constatabile da chiunque: un’esperienza reale che veicolava qualcosa di eccezionale e che destava stupore. Questa eccezionalità coincide con quello che, cristianamente parlando, si chiama miracolo: l’incedere del passo divino tra i passi della compagnia umana. Dio, infatti, ha scelto come metodo per educare l’uomo a quello che Lui vuole una familiarità totale con lui. Non c’è altro avvenimento che ci possa far sentire fratelli come il fatto che il Mistero che è tra noi porta ogni giorno una sovrabbondante testimonianza di Sé: questa confidenza con la presenza del Signore rende capaci di qualsiasi cosa.
Appendici
La persona, soggetto del rapporto
Nell’affrontare il fenomeno del rapporto uomo e donna tre sono i punti principali: il valore della persona, la funzione e il contesto storico-sociale. Il matrimonio implica tutto un superamento del fenomeno stesso perché una persona non è fatta per il matrimonio, ma per il Destino. La persona è chiamata, nell’impegno che essa assume, a svolgere un compito, cioè un momento del disegno totale, e l’avvenimento affettivo altro non è che la modalità con cui ci si protende verso il mondo. Infatti la persona, nello svolgere la sua funzione, è immanente a un certo contesto sociale, che tenderà sempre a strumentalizzare in qualche modo la famiglia cercando di dividere il significato di vita dei genitori da quello dei figli. La Chiesa, nella forma con cui ci tocca nel concreto, rappresenta l’unico correttivo e l’unica difesa del rispetto della famiglia, che viene prima del contesto sociale.
Cultura della vita e cultura della morte
La morte domina il sentimento comune stendendo su tutto un velo di apparenza. Tale negatività porta ad esaltare l’attimo fuggente di una soddisfazione momentanea. Tale atteggiamento però non è secondo la natura dell’uomo, che nasce invece come promessa positiva. Il punto di partenza per il costituirsi di una cultura della vita è la missione, resa possibile dal sacramento del battesimo; tanto che il matrimonio è sacramento in quanto completa il volto del soggetto missionario. La famiglia realizza la sua vocazione attraverso l’educazione dei figli. «L’opera educativa dei genitori cristiani deve farsi servizio alla fede dei figli e aiuto loro offerto perché adempiano la vocazione ricevuta da Dio» (Giovanni Paolo II). Una famiglia da sola, tuttavia, non può resistere. Per questo si è mandati come popolo: solo stringendo una trama stabile di rapporti la famiglia può opporsi alla trama sociale dominante.